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Interviste a professionisti

Intervista allo scrittore Bruno Tognolini

Intervista a Bruno Tognolini, scrittore.

A cura di Giordana Calcagno 5O liceo linguistico Lucrezio Caro)

Questa intervista è nata grazie al progetto “Scuola Futura” al quale io, Giordana Calcagno, ho partecipato. Inizialmente, non conoscevo Bruno Tognolini, ma grazie a Felice Bisogni, che ha seguito me e la mia classe, ho avuto l’opportunità di intervistarlo. Sono stata davvero fortunata, ho avuto il piacere di parlare con una persona molto talentuosa che ha come me la passione per la scrittura. Per questo motivo, l’intervista che segue, non solo è stata interessante da svolgere, ma mi ha anche molto arricchita.

Giordana Calcagno : ‘Buongiorno, sono interessata a conoscere la sua esperienza lavorativa. A tal fine le propongo alcune domande sulle quali le chiedo di articolare un discorso e dirmi quello che le viene in mente. Potrebbe parlarmi della sua esperienza lavorativa? Come e cosa l’ha spinta a fare questa scelta? Come ha vissuto il percorso di formazione, l’avvio e la costruzione della sua attività professionale?’

Bruno Tognolini: ‘Buongiorno. Io faccio lo scrittore. Il mio lavoro, oltre a scrivere, consiste anche nel girare scuole e parlare di ciò che scrivo. Quando faccio gli incontri con i bambini, loro mi chiedono sempre se avessi sempre voluto fare lo scrittore… Io rispondo di no, perché sapevo solo che volevo fare qualcosa di bello e diverso dai miei genitori, che sono insegnati della scuola elementare. Da bambino mi piaceva creare, costruire, e leggere. Mi potevo definire un puer faber. A seconda di quello che trovavo in giro, modoficavo l’idea che avevo e viceversa. Mi piacevano i libri d’avventura, però le belle storie che leggevo non a cadevano nella mia vita e quindi ho deciso di scriverle io. Come per quando costruivo, bisogna avere un’idea e poi aggiustarla secondo i materiali che si hanno.

Ho frequentato il liceo classico, dove sono entrato in contatto con i classici. Mi sono sempre piaciuti, però non lo ammettevo per non sembrare un secchione.

Ho cominciato a scrivere solo all’ultimo anno, quando un mio compagno iniziò a condividere con la classe i suoi racconti e mi son detto: ‘ se lui può farlo, lo farò anch’io!’ . È come se fino a quel momento non avessi mai realizzato che oltre a studiare e leggere si potesse scrivere. Dopo il liceo classico, sono andato a studiare Medicina a Cagliari. Tutti si aspettavano da me che studiassi medicina e pure io, da me stesso, me lo aspettavo. Da piccolo, per compiacere gli adulti, dicevo di voler fare il dottore come mio zio Antonio. Però, c’è differenza tra il dire e il fare. Bisogna capire cosa si vuole fare davvero, quello che gli altri si aspettano da te e quello che tu ti aspetti da te stesso, che può anche non essere quello che realmente desideri. Bisogna districarsi tra tutti questi ‘fili’. Io ci ho messo 4 anni. Ho studiato medicina per 4 anni e mia madre era molto fiera di me e le piaceva molto vedermi in camice bianco. Io, però, non ero convinto di questa strada e quindi ho lasciato. Lei non era molto contenta della mia decisione. Lei, aveva anche provato a convincermi – inutilmente- a continuare a studiare medicina e scrivere allo stessa tempo. Avevo fatto uno sbandamento, mi ero allontanato dalla mia strada. Mi sono poi iscritto al Dams ,( verso la fine degli anni ’70), un ambiente molto stimolante dove mi sono dedicato ad un gruppo teatrale.

Dopo il Dams, ho continuato per 11 anni a lavorare nell’ambito teatrale. Era tutta improvvisazione. Il regista prendeva nota e dava spunti, creando storie coerenti. È faticoso, ma è utile. Quello che scrivevo, però, non lo condividevo con loro, lo tenevo per me. Dopo tanti anni, quando ho lasciato, mi sentivo come se stessi volando… come se avessi lasciato dei pesetti che mi tenevano ancorato a terra. Potevo scrivere quello che piaceva a me. Ho riempito quaderni su quaderni. Sono veramente stato fortunato ad avere avuto la formazione teatrale.

Una volta, ho creato una insegna con scritto ‘poeta che vende le rime scritte all’improvvisa’ e scrivevo quartine ispirandomi ai volti e ai nomi dei clienti su bei fogli ornati da una cornicetta. Ho fatto anche parte di una banda musicale composta da amici, dove suonavo il tamburino. Era divertente e guadagnavo anche dei soldi. Ci esibivamo a feste, fiere… Può sembrare che questo non c’entra nulla con quello che faccio ora, ma quel tamburino c’è ancora oggi. I bambini, quando chiedo loro che fine abbia fatto il tamburino, rispondono che secondo loro l’ho tenuto per ricordo, ed è così. Non l’ho buttato, l’ho reso ‘ invisibile’. Si trova tra una riga e l’altra dei miei lavori.

Ad esempio, la filastrocca degli Animali.

Le mani sono zampe, le facce sono musi,

il naso è così fine che vediamo ad occhi chiusi.

Le dita sono ali, le pelli sono pelo,

corriamo dentro il mare e poi corriamo dentro il cielo.

E gli occhi sono grandi, il loro sguardo è triste,

corriamo dentro favole che tu non hai mai viste.

Noi siamo gli animali, non siamo intelligenti,

però sappiamo cose che non vedi e che non senti.

Noi siamo gli animali, ignoriamo le parole,

però noi chiacchieriamo con la luna e con il sole.

Tu cucciolo di uomo, rispettaci perché,

noi siamo gli animali e siam qui prima di te! ‘

Senti, il ritmo? È il tamburino.

Un altro esempio è la filastrocca del Diritto al gioco.

‘ Fammi giocare solo per gioco

Senza nient’altro, solo per poco

Senza capire, senza imparare

Senza bisogno di socializzare

Solo un bambino con altri bambini

Senza gli adulti sempre vicini

Senza progetto, senza giudizio

Con una fine ma senza l’inizio

Con una coda ma senza la testa

Solo per finta, solo per festa

Solo per fiamma che brucia per fuoco

Fammi giocare per gioco.

C’è sempre il ritmo dentro.

Se ci pensi, c’è un filo tra tutte le cose che si fanno nella vita, anche se sembrano diverse. Tutto quello che succede, ti arricchisce,ti prepara per qualcosa. A me sembrava che non stavo andando da nessuna parte… Volevo scrivere ma quello che facevo era suonare un tamburino.

Poi, è capitato il miracolo. La chiamata dell’ ‘Albero azzurro’, era una domenica . Marco Paolini, un celebre attore con cui avevo scritto alcuni spettacoli, era a pranzo con il Signor Cavalli, che gli disse che aveva bisogno di autori per ‘l’Albero azzurro’ e lui gli propose il mio nome. Mi licenziai dal gruppo teatrale, che da nido si era tramutato in albergo e poi prigione.

Ci vuole forza per volare via dal nido. A proposito di nido, il testo in italiano delle canzoni della ‘Gabbianella e il gatto che le insegnò a volare’ le ho tradotte io. Comunque, nessuno sa se è in grado di volare, nemmeno io lo sapevo, però mi sono buttato. Secondo me, esistono due tipologie di ‘ culo’, perdonami il termine. Ci vuole ‘culo’ e ‘farsi il culo’. Bisogna avere entrambi, altrimenti non si va da nessuna parte. Mi richiamarono anche gli anni successivi, sia per ‘l’Albero azzurro’ sia per ‘La melevisione’. Questo, testimonia come ‘avere culo’, combinato con ‘farsi il culo’ porta grandi soddisfazioni e risultati. Inoltre, mi pagavano bene. Da drammaturgo, mi sembravano tanti soldi. Quando mia mamma, incredula, mi disse ‘ma ti pagano così per le tue filastrocche?! ‘ dissi, ‘sì’. É stata una soddisfazione.

La televisione, veniva vista come un ‘nemico’ dal teatro, ma io ho lavorato con tante persone meravigliose e mi sono trovato molto bene.

Questo, è stato racconto lungo, perché la via è stata lunga, però è proprio andata così. È come essere in un bosco, bisogna andare avanti finché non si scova la luce, come nelle fiabe. Ma non si sa se la luce che si vede proviene della casa dell’orco o la reggia. Per me, quella chiamata, è stata come aver trovato la reggia. Sono stato davvero fortunato.

Giordana Calcagno: La ringrazio di aver risposto alle domande in modo così esaustivo. 

Bruno Tognolini: “Grazie a te, buona fortuna con i tuoi progetti. Arrivederci!”

Giordana Calcagno : Grazie. Arrivederci!

Una riflessione su questo lavoro

Nonostante l’aver frequentato due indirizzi scolastici differenti e in due periodi distinti, sono dell’idea che tra me e Bruno Tognolini ci siano delle similitudini. Come ho accennato nell’introduzione, entrambi condividiamo la passione per la scrittura che coltiviamo da sempre. Io però, al contrario del Signor Tognolini, non ho mai condiviso quello che scrivo, poiché credo che i miei lavori siano ancora troppo acerbi per essere divulgati.

Un’altra similitudine che possiamo citare è il fatto che entrambi all’università abbiamo intrapreso strade in cui la scrittura non è centrale. Come mi ha riferito nell’intervista, lo scrittore ha iniziato a frequentare medicina, poiché tutti e perfino lui stesso si aspettavano questa decisione poiché da piccolo, per compiacere gli adulti, diceva di voler seguire le orme di suo zio Antonio anche se questo non era realmente quello in realtà che voleva fare. Personalmente, la mia scelta ( Comunicazione e valorizzazione del patrimonio artistico contemporaneo presso L’Accademia di Belle Arti di Roma) non è stata influenzata da nessuno se non dalla mia voglia di mettermi in gioco e di apprendere cose nuove, ma comunque farò tesoro del suo racconto e continuerò a scrivere. Chissà, magari in futuro anche io avrò la possibilità di lavorare con la mia passione… 

Nonostante non sia stato utile per mio orientamento, ho trovato davvero illuminante il suo racconto, poiché mi ha aiutata a comprendere che le nostre passioni che spesso mettiamo da parte, talvolta possono diventare la nostra occupazione principale. C’è da dire, però, che non tutti hanno la fortuna di riuscirci.